lunedì 11 giugno 2012

A PROPOSITO DEL CARDINALE BAGNASCO (segue)

Viviamo tempi molto  difficili: la crisi che ci attanaglia non è congiunturale e neppure strutturale: è epocale, purtroppo. Ed è per questo che non credo che eventuali ricette possano arrivare né dal mondo dell’impresa, il cui spirito è stato distrutto da cinquant’anni di statalismo, né, tanto meno, da quello della finanza che, semmai, della crisi rappresenterà (lo sta già rappresentando, per dir la verità) il detonatore finale. E neppure dalla politica avvelenata che una democrazia terminale ha reso ostaggio del mostro burocratico, cioè la più potente e oscura delle caste, pronta a tutto pur di perpetuare se stessa..
Se le cose stanno così (e stanno così, basta tenere gli occhi aperti su quello che avviene), quella parte non trascurabile di popolo dedito alla ricerca d’una prospettiva di speranza, che le permetta di uscire dalla disperazione o anche solo dalla depressione cronica, ha diritto di poter cercare una risposta altrove. Viviamo in uno stato laico e, diciamo pure, in una dimensione laicista ormai diffusa, ed è a tutti evidente che la Chiesa è solo una delle tante voci presenti nella società, per quanto prestigiosa, e appare assurdo che si metta in discussione il suo diritto di esprimersi compiutamente al pari di ogni altra. Che senso ha tuonare contro il papa, il cardinale e i vescovi (salvo osannarli quando fa comodo) allorché parlano dei fondamenti del cristianesimo, mentre si continuano a spendere fiumi di danaro pubblico e a mobilitare tutte le reti televisive per magnificare e rendere edotto il pubblico sul significato rituale dei tatuaggi dei Maori, continuando ad insistere sulla favola ormai stucchevole oltre che falsa del buon selvaggio, inventata quasi tre secoli fa da Rousseau? Del resto, al giorno d’oggi qualunque sconvolto che si alzi al mattino con la “sua verità” da rivelare e promuovere (preferibilmente una nuova tendenza sessuale) ha diritto di ascolto mediatico. Ma prova a parlare dei dieci comandamenti, del valore della fedeltà coniugale, del senso del peccato e di quello del perdono (inteso come scelta privata, non come gesto da esibire e gridare ai quattro venti come esige il politicamente corretto): neanche il più periferico dei municipi sarà disposto a concederti una saletta per discuterne pubblicamente e potrebbe anche capitarti di venire adocchiato da un burocrate zelante dell’AUSL o dei servizi sociali pronto a disporre per te un TSO (Trattamento Sanitario Obbligato, per i non iniziati).
Tornando all’ultimo discorso del presidente della CEI, mi pare chiaro che esso sia dettato dalla contingenza del momento, cioè dal pessimo spettacolo offerto dalla politica davanti al collasso dell’economia e della vita sociale, tuttavia giudico perlomeno arbitraria la sicurezza di coloro che identificano in Silvio Berlusconi l’unico bersaglio del suo “sbigottimento di fronte al livello culturale e morale”, come se il cardinale Bagnasco non fosse in grado di ricondurre alla dimensione umana l’entità surreale dei peccati attribuiti al premier, e fosse, al pari di tanti altri soggetti a corto di argomenti, a caccia di un capro espiatorio su cui far ricadere tutti i mali della nostra società. Certo, da sacerdote, avrà inteso riferirsi anche ai vizi privati del nostro presidente del consiglio, diventati socialmente riprovevoli da quando sono di dominio pubblico; ma si fa torto alla sua intelligenza se non si capisce che il suo turbamento e il suo biasimo si estende a tanti altri aspetti della politica e della società e a tanti altri comportamenti poco edificanti, anch’essi di dominio pubblico. Magari anche ai metodi di lavoro di certi magistrati che trascurano il loro fondamentale dovere di combattere la criminalità (e quale criminalità!) per inseguire e spiare con sistemi maniacali e persecutori che non hanno uguali nel mondo intero i vizi privati di un solo uomo, che se fossero rimasti confinati nella dimensione privata, come sarebbe stato logico e giusto, avrebbero dovuto riguardare soltanto il futuro della sua anima.
Penso che continuerò a leggere con interesse i prossimi interventi del cardinale Bagnasco, augurandomi che egli vada presto oltre al giusto sdegno per lo spettacolo indegno offerto dalla politica e individui un modo efficace per farsi Pastore anche di coloro che oggi sono lontani dalla Chiesa. Certo sarà difficile, come dice lo stesso cardinale, “rompere il determinismo dell’immanenza” e tornare a parlare di Dio ad una umanità che si trascina “in un’amarezza dichiarata, in un risentimento talora sordo, in un cinismo che denuncia una sconfortata rassegnazione”, ma non è forse la speranza nell’uomo, al pari della fede e della carità, una grande virtù cristiana?
Miriam Pastorino



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